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Crockett, l’uomo che traccia la linea e racconta.

Quarantasei anni fa, l’11 luglio 1975, ci lasciava Crockett Johnson, aveva 68 anni e aveva scritto una delle pagine più importanti della letteratura per ragazzi, nonostante non avesse mai pensato di fare l’autore né l’illustratore. Aveva iniziato come fumettista e poi, dal 1965 in poi, dopo aver regalato al mondo una visone diversa dello spazio della pagina che con lui si fa narrante e piena, e aver contribuito a <<cambiare il vecchio volto imbalsamato dell’editoria per ragazzi>> come ebbe a dire Sendak (1), si dedicherà alla pittura.

Si chiamava in realtà David Johnson Leisk  che cambiò in Crockett Johnson perché, come racconta <<Crockett è il mio soprannome d’infanzia. Il mio vero nome è David Johnson Leisk. Leisk era troppo difficile da pronunciare – quindi – ora sono Crockett Johnson!>>.

Nonostante avesse più volte affermato di essere “l’uomo più pigro del mondo” Johnson è stato un artista incredibilmente produttivo e anche poliedrico, anche se, come vedremo, un fil rouge poetico, o forse meglio dire poetico-filosofico, attraversa tutta la sua opera, compresa la sua produzione pittorica della quale non parlerò ma che sarebbe affascinante studiare per il rapporto con la linea e lo spazio.

Dopo aver lavorato come freelance per riviste d’arte, tra il 1934 e il 1940 scrive alcune vignette politiche per New Masses una rivista marxista americana. Nel 1940 comincia a disegnare una striscia settimanale per Collier’s : “The Little Man with the Eyes. In realtà la striscia non aveva un nome ufficiale ma divenne nota coma “L’omino con gli occhi” perché il personaggio principale comunicava con gli occhi i suoi pensieri.

Cito in particolare questa produzione di Crockett Johnson perché credo che vi sia in nuce ciò che vedremo in seguito cioè la capacità di far parlare gli occhi dei suoi personaggi. Come L’Omino con gli occhi, anche Harold, protagonista di ben sette libri, e Ann e Ben, protagonisti di La spiaggia magica, guardano il mondo stupiti e lo interpretano. I loro occhi guidano quelli del lettore dentro (anche fuori?) la pagina.

Nel 1939 aveva conosciuto Ruth Krauss, che diventerà sua moglie e per la quale illustrerà alcuni libri.

 The carrot seed (Harper,1945) mai arrivato in Italia e che Sendak, che a lungo è stato amico della coppia, definiva <<un libro illustrato perfetto… il nonno di tutti i libri illustrati in America, una piccola rivoluzione…un libro che ha trasformato definitivamente il volto dell’editoria per bambini… senza una parola o un’immagine fuori posto, è drammatico, vivido, preciso, conciso in ogni dettaglio. Nasce fresco dal mondo reale dei bambini>> (prefazione all’edizione americana).

https://www.k-state.edu/english/nelp/purple/books/collaborations.html

The carrot seed racconta di un bambino che trova un seme di carota, e nonostante tutti gli dicano che non ne nascerà assolutamente nulla, lo semina e se ne prende cura; vedrà nascere una splendida carota. Fino a che punto dobbiamo seguire ciò che gli altri ci dicono? Seguire un’idea, può essere la base della conoscenza? Una storia molto semplice, illustrata con quel tratto essenziale che diverrà la cifra di Crockett che racconta il mondo bambino e la sua voglia di conoscere ed esperire. The carrot seed sembra però anche dirci che c’è una parte di totale istintività visionaria nella conoscenza. <<Just as the little boy had known it would>> conclude (2).

https://curiouspages.blogspot.com/2009/10/carrot-seed_3489.html
https://curiouspages.blogspot.com/2009/10/carrot-seed_3489.html

I libri di Ruth Krauss e Crokett Jonhson, raccontano un’infanzia diversa da quella edulcorata della letteratura moraleggiante che era in voga negli Stati Uniti e in Europa in quegli anni e, in parte, ancora oggi. I bambini di Krauss e Johnson sono curiosi e ribelli, testardamente vogliono esplorare il mondo. Si fanno domande e vanno in cerca di risposte.

In How to Make an Earthquake (Harper, 1954), Krauss e Johnson offrono ai bambini tutta una serie di possibili soluzioni alle mille curiosità dei bambini.

https://www.k-state.edu/english/nelp/purple/books/collaborations.html

Come tenere una nocciolina in bilico sul naso?

http://curiouspages.blogspot.com/2010/02/how-to-make-earthquake.html

Come intrattenere chi telefona?

http://curiouspages.blogspot.com/2010/02/how-to-make-earthquake.html

E così via in una serie di spassose e creative soluzioni che sembrano essere partorite da una mente bambina. Perché Krauss e Johnon fanno una cosa che pochissimi facevano allora, scrivono per bambini con occhi e cuore da bambini, con quella logica stringente e folle che è alla base dell’esperire e del conoscere bambino e che molta letteratura vorrebbe inquadrare.

In Is This You? (W. R. Scott 1955), Crockett Johnson prende parte anche alla scrittura del testo

https://www.k-state.edu/english/nelp/purple/books/collaborations.html

È un libro “attivo”, come lo chiameremo oggi, che pone al bambino-lettore una serie di domande: “È questa la tua famiglia?”, “È qui che abiti?”, “È qui che vai a scuola?”, invitandolo a compilare/finire il libro una pagina alla volta. Ogni domanda è accompagnata illustrazioni esilaranti e assurde. 

http://stoppingoffplace.blogspot.com/2010/06/ruth-krauss-something-else-press.html
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Nonsense e provocazione in un libro veramente spassoso nel quale l’illustrazione fa da controcanto alla domanda del bambino, provocando ilarità e, proponendo delle risposte impossibili, apre la mente al possibile. Crockett Johnson prima di dedicarsi alla letteratura per ragazzi è stato un fumettista. Ho già detto della sua attività di vignettista politico per New Masses (1934-1940), ma sarà nel 1942 che creerà quello che sarà uno dei personaggi dei fumetti più amati del ventesimo secolo, tanto da essere continuamente ristampato: Barnaby.

https://www.k-state.edu/english/nelp/purple/books/cartoons.html

Barnaby apparve per la prima volta sul quotidiano di Sinistra PM il 20 aprile 1942; Crockett Johnson lo scrisse tutti i giorni fino al 1946. Il fumetto raccontava le avventure di un ragazzino di nome Barnaby e del suo amico immaginario Mr O’Malley che non è come potremo immaginarci un orsacchiotto o un buffo mostro, bensì una sorta di fata padrina, che ricorda un investigatore degli anni trenta, con tanto di sigaro cappello e che ha una vaga somiglianza con il comico e attore statunitense WC Fields (Philip Nel); è maldestro e le sue “magie” sono “lanciate” dal sigaro. Nessuno lo vede tranne Barnaby e i lettori.

Se si guardano le strisce di Barnaby non si può non notare che l’approccio allo spazio della pagina bianca è quello che ritroviamo nei libri di “Harold”. Sembra che Johnson scrivesse a macchina ciò che i personaggi dicevano proprio perché questo gli permetteva di lasciare più spazio bianco nella vignetta (3).

Le vignette di Barnaby, sono disegnate in maniera molto “semplice”, essenziale, minimalista, evitando ogni decorazione arbitraria; i personaggi sono disegnati sempre allo stesso modo e vivono nel primo piano delle vignette facendo risaltare la storia e le battute intrise d’ironia e salace critica alla società.

Barnaby con la sua irrazionale follia e la sua fantasia lanciata al galoppo è un manifesto all’immaginario bambino che l’adultità deve abbandonare (deve?), ma, e Johnson lo sapeva bene, può continuare a vivere in mille modi diversi.

Questa visione del mondo e dello spazio della pagina (e nella pagina) lo ritroviamo nei libri di Harold pubblicati in Italia da Camelozampa e in quello che a mio parere è un po’ il manifesto di Crockett Johnson che è La spiaggia magica (Orecchio Acerbo), come vedremo.

Tra il 1955 e il 1963 Crockett Johnson, oltre a collaborare con la moglie Ruth Krauss, dà vita al personaggio di Harold e scrive e pubblica ben sette libri su questo curioso e intraprendente bambino che se ne va per il mondo della pagina bianca del libro a creare mondi e storie con la sua matita viola.

In Italia, a oggi, sono stati pubblicati tre titoli e un quarto uscirà a novembre prossimo, grazie al lavoro mirabile della casa editrice Camelozampa (https://www.camelozampa.com/) che ci ha anticipato l’intenzione di pubblicare tutta la serie di Harold. La casa editrice padovana ha restituito ad Harold il formato originale (4), restituendogli anche lo spazio della pagina, senza il quale la storia “non c’è”.

Come già aveva osservato Chris Ware (al secolo Franklin Christenson; fumettista statunitense), parlando di Barnaby, Crockett Johnson usa lo spazio bianco della pagina narrativamente. Se in Barnaby, grazie all’uso della macchina da scrivere per le frasi dei balloon, restringe gli stessi e ampia lo spazio “vuoto”, con Harold lo spazio della pagina è nella storie. È la storia!

Dello spazio bianco in Harold ha parlato in maniera illuminante Beniamino Sidoti su Libri Calzelunghe (5).

Che cosa fa Harold? Che cosa ci racconta Crockett Johnson attraverso Harold? Se osserviamo la sua produzione artistica vediamo che l’artista statunitense riteneva che i bambini avessero un approccio filosofico alla vita e che il mondo e la realtà fossero generati dall’atto di guardare e di agire. I suoi bambini sono guidati da una forte autodeterminazione. Se in The carrot seed il giovane protagonista sa che la carota crescerà nonostante il parere dei grandi, cioè di “coloro che sanno”, nei libri di Harold, il bambino con la matita viola è sia creatore sia esploratore del mondo nel quale si avventura.

In Harold e la matita viola (il primo delle avventure di Harold), il bimbo decide di fare una passeggiata al chiaro di luna.

<<Ma la luna non c’era e ad Harold serviva una luna per fare una passeggiata al chiaro di luna>>

Harold quindi disegna con la sua matita viola, una luna e poi una strada (differentemente su cosa avrebbe passeggiato?) Harold disegna il mondo che esplora, ma quel mondo si disegna anche da sé in maniera quasi casuale, indipendentemente dal suo volere. Disegna la strada e poi si accorge che non porta da nessuna parte; pensa che sarebbe bello che ci fosse un bosco decide di disegnare un albero e poi si accorge che è un melo.

Harold viaggia in un mondo che crea e che lo stupisce ogni volta. Nei libri di Harold è la forma narrativa che diventa storia.

In La fiaba di Harold, ancora una volta il bambino è il protagonista e il narratore/inventore della fiaba di cui fa parte; egli costruisce la fiaba e ne è contemporaneamente il protagonista passivo e stupito.

<<Per tappare il buco, Harold vi mise un orologio, utile e decorativo. Fu sorpreso di vedere quanto fosse tardi>>.

Harold sale le scale che disegna egli stesso per poi costatare che << per fortuna non c’erano altri gradini>>. È lui che disegna le scale o è la matita che crea? Chi decide quanti saranno i gradini?

In altri punti è Harold che decide cosa fare e quindi, se bisogna entrare in un castello dalle mura altissime, che si disegni un topo! Poiché, certamente, se c’è un topo, ci sarà la sua tana da cui entrare!

In Johnson c’è un costante e affascinante gioco tra l’autore che narra la storia e il protagonista che sembra inventarsela. Protagonista, peraltro, che è sempre in bilico tra il costruirsi la storia e il subirla: Harold per scendere dal tetto del castello ha bisogno di una guglia; niente di più semplice che disegnarla, ma, questa poi si rivelerà, con sua meraviglia, il cappello di una strega.

I libri di Harold sono un inno allo stupore bambino. Harold come ogni bambino si avvicina al mondo costruendolo e ne rimane meravigliato. È la meraviglia che crea il mondo. È come se Johnson ci dicesse che è il nostro sguardo a creare la realtà.

Mi affascina Harold perché è uno stupito del mondo. Attraversa la realtà determinandola e subendola. Lo spazio  vuoto della pagina bianca si riempie al suo passaggio grazie alla matita viola che a volte produce la realtà, altre risponde al volere del bambino creatore; ed è comunque uno spazio reale e preesistente nel quale il bambino sta, come ha ben messo in evidenza Sidoti nell’articolo citato.

Nei libri che Johnson ha dedicato alle avventure di Harold si mischiano affascinantemente due piani. Da una parte, il linguaggio del picturebook, dove parola, immagine e spazio della pagina dialogano tra loro e con il lettore, dall’altra le narrazioni di Harold, il bambino che vive le avventure che lui stesso crea e che si muove in un mondo che sembra non conoscere e che è determinato dalla sua presenza e acquisisce senso grazie ad essa.

In Harold nello spazio, Harold, dopo aver controllato che ci fosse la luna (avete notato che la luna è una costante nelle avventure di Harold?), va in cerca di un bicchiere d’acqua, ma non vede nulla.  Certo, era nel deserto e nel deserto non c’è nulla! Ed ecco anche perché aveva così tanta sete! Dopo aver risolto il problema, decide di andare sulla luna. Niente di più facile che trovare un razzo, uno dei tanti che il Governo ha lanciato nel deserto (e qui torna la zampata del Johnson vignettista di New Masses).

Inizia così un viaggio avventuroso e strabiliante nello Spazio. Lune che sono dischi volanti e strani pianeti su cui si atterra a testa in giù. Per fortuna che c’è un cartello che indica che siamo su Marte! Come saranno fatti i marziani? Lo accoglieranno? E se fossero ostili? Harold trova sempre una soluzione grazie alla sua matita viola.

Harold alla fine delle sue avventure torna sempre a casa e si riappropria pienamente della capacità di autodeterminazione. La matita viola, ora, disegna ciò che vuole lui e se in Harold e la matita viola, disegna il letto con tanto di coperte sotto le quali s’infila, in Harold nello spazio, il protagonista, affamato,  si disegna un bel piatto fumante di latte e cereali, una sedia e si siede a mangiare.

Nel 1959, mentre scrive e pubblica le avventure di Harold, Johnson scrive e progetta un libro che intitola La spiaggia magica. Il libro è rifiutato dal suo editore (Harper and Brothers) perché a suo dire “impubblicabile”. Johnson lo rivede e lo manda a vari editori che lo considerano troppo difficile, filosofico e anche un po’ malinconico. Nel 1965 il libro uscirà con il titolo Castle in the sand per le edizioni Holt, ma senza le illustrazioni di Johnson, sostituito da Betty Fraser illustratrice considerata più classica e concreta.

https://www.pinterest.it/pin/21181060718580202/

Soltanto nel 2005 sarà pubblicato da Front Street Books come lo aveva pensato l’autore e in Italia nel 2013 da Orecchio Acerbo, grazie al quale possiamo ammirare quest’opera affascinante.

Fantastico, onirico e surreale, La spiaggia magica racconta di Ann e Ben che passeggiano su una spiaggia. Ann si rammarica di non essere rimasta a casa a leggere una storia perché è stanca, Ben replica che << È più divertente fare qualcosa che leggerlo in un libro>>. Ne nasce un breve dialogo sulle storie e sulla loro veridicità, sulle parole e sulle lettere che <<…sono solo diversi tipi di segni>>. Così inizia questa storia incantata in cui le parole tracciate sulla sabbia dai bambini, per gioco e curiosità, fanno apparire oggetti e creano mondi.

Inizialmente stupiti i bambini, che hanno visto apparire la marmellata e il pane dopo che averlo scritto sulla sabbia, decretano che sono in un regno magico e quindi ci sarà un re cui chiedere una conchiglia per sentire il mare; scrivono sulla sabbia “re” e il re appare.

Inizia così un surreale dialogo tra Ann, Ben e il re. Johnson costruisce una storia altamente filosofica nella sua semplicità. Se il bambino è in grado con il suo gioco di creare mondi veri, i personaggi di questi mondi possono agire nel mondo bambino? Chi ha messo la marmellata e il pane sulla spiaggia? Il re? I bambini? C’è un re?

<<Questo posto era sotto un incantesimo – disse Ann – E noi lo abbiamo rotto. Oppure è sotto un incantesimo ora? – disse il re – Sotto il vostro incantesimo. Nostro? – disse Anna – Noi abbiamo solo scritto delle parole – disse Ben >>.

Scrivere crea mondi?

Ancora una volta in Johnson torna l’idea che il segno grafico generi la realtà e che lo spazio della pagina sia uno spazio da agire e agente.

In La spiaggia magica, l’autore statunitense va ancora più a fondo con la sua riflessione, perché se Harold dà vita al mondo disegnandolo, qui il segno grafico che si fa lettera e parola ed è la parola che crea. La parola narrante genera la realtà sembra dirci Crockett Johnson e i bambini sono i naturale portatori di questa parola perché più di tutti ci credono.

Il re, la foresta, il castello fanno parte della storia e sono creati da Ann e Ben che velocemente devono uscirne per non rimanerne sommersi.

Le storie esistono perché le narriamo?  Il mondo c’è perché lo vediamo, nominiamo disegniamo rappresentiamo? Crockett Johnson racconta questo al suo lettore. Provoca domande, lascia senza risposte.

Johnson non terminò le illustrazioni di questo libro e non era molto convinto di queste che ammiriamo noi oggi, considerandole solo degli schizzi incompleti; in realtà come dice Maurice Sendak, nella prefazione, hanno <<una qualità pari a quella dei diamanti grezzi>> e, a mio parere proprio perché accennate e “non finite” contribuiscono a narrare il sogno, il surreale e il potere della parola narrante.

Concludo con una “Chicchina”: nel 1955 Crockett Johnson scrisse “Compagni fantastici”, che appare nel numero di giugno 1955 di Harper’s Magazine. Johnson vi scrisse le storie di sei “amici immaginari”. Pare che Mister OMalley, la fata padrina di Barnaby, abbia spinto molti genitori a scrivere le storie degli amici invisibili dei loro figli, non visti dai genitori, ovviamente. Il tono è ironico e giocoso; ironizza su i vari amici immaginari a volte buffi e inverosimili, mai su i bambini.

NOTE:

  1. Nella prefazione a La spiaggia Magica, traduzione di Elena Fantasia, Orecchio Acerbo, 2013.
  2. https://www.prindleinstitute.org/books/the-carrot-seed/
  3. https://www.fumettologica.it/2018/07/barnaby-crockett-johnson-fumetto/
  4. Nel 2000 Harold e la matita viola era stato pubblicato da Einaudi ragazzi nel consueto formato tascabile
  5. https://libricalzelunghe.it/2015/12/11/linvenzione-della-pagina-bianca/

Bibliografia:

Crockett Johnson Harold e la matita viola, traduzione di Sara Saorin, Camelozampa, 2020.

Crockett Johnson La fiaba di Harold, traduzione di Sara Saorin, Camelozampa, 2020

Crockett Johnson, Harold nello spazio, traduzione di Sara Saorin, Camelozampa, 2021.

Crockett Johnson, La spiaggia magica, traduzione di Elena Fantasia, Orecchio Acerbo, 2013.

Sitografia:

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